La Dichiarazione di Indipendenza Americana è uno dei documenti più importanti nella storia degli Stati Uniti e del mondo. Con essa, le tredici colonie britanniche della costa atlantica nordamericana proclamarono la loro separazione dall’Impero britannico e fondarono una nuova nazione, basata sui principi dell’Illuminismo e della democrazia.
La Dichiarazione fu il risultato di un lungo processo di rivendicazione dei diritti dei coloni, che si sentivano oppressi e sfruttati dalla madrepatria. Le tensioni tra le due parti sfociarono in una serie di conflitti armati, noti come la guerra d’indipendenza americana, che durò dal 1775 al 1783.
Il documento fu redatto da una commissione di cinque membri del Congresso Continentale, riunito a Filadelfia nel giugno del 1776. Il principale autore fu Thomas Jefferson, che si ispirò alle idee di John Locke, il filosofo inglese che aveva teorizzato il diritto alla ribellione contro un governo tirannico. La Dichiarazione fu approvata il 4 luglio 1776, data che divenne la festa nazionale degli Stati Uniti.
La Dichiarazione si compone di quattro parti: il preambolo, che espone i motivi della secessione; la dichiarazione dei diritti, che afferma i principi fondamentali della nuova nazione; l’elenco delle accuse contro il re Giorgio III, che illustra le ingiustizie subite dai coloni; e la conclusione, che dichiara solennemente l’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
La dichiarazione è divisa in quattro parti principali: il preambolo, la dichiarazione dei diritti, l’elenco delle accuse contro il re Giorgio III e la conclusione. Il preambolo esprime i principi filosofici che giustificano la rivoluzione, basati sull’affermazione che tutti gli uomini sono creati uguali e dotati di diritti inalienabili, tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità. L’elenco delle accuse denuncia le ingiustizie e le violazioni commesse dal re e dal governo britannico nei confronti dei coloni, tra cui la tassazione senza rappresentanza, il dispiegamento di eserciti stranieri, il blocco del commercio e la limitazione delle libertà civili. La conclusione dichiara solennemente che le colonie sono libere e indipendenti Stati Uniti d’America, che hanno il diritto di fare guerra, concludere pace, stabilire alleanze e organizzare il proprio governo.
La Dichiarazione di Indipendenza Americana ebbe una grande influenza sulla storia successiva, sia interna che esterna. Essa fu il modello per altre dichiarazioni simili, come quella dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese del 1789. Essa fu anche la base per la stesura della Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1787, che stabilì la forma di governo federale e repubblicano della nuova nazione. Essa infine fu un esempio per tutti i popoli che lottarono per la loro libertà e indipendenza nel corso dei secoli successivi.
Nascita e indipendenza delle 13 colonie americane
Le 13 colonie americane furono un gruppo di colonie del Regno di Gran Bretagna sulla costa atlantica dell’America del Nord, fondate tra il XVII e il XVIII secolo. Queste colonie dichiararono la propria indipendenza nel 1776, dando origine agli Stati Uniti d’America.
Le colonie inglesi in America nacquero per diverse ragioni: alcune furono create da compagnie commerciali, altre da grandi proprietari terrieri, altre ancora da minoranze religiose che cercavano libertà di culto. Vi furono anche coloni poveri, artigiani e carcerati che speravano di migliorare le loro condizioni di vita nel Nuovo Mondo. Infine, la monarchia inglese incoraggiò la colonizzazione per contrastare le altre potenze coloniali, come la Francia e la Spagna.
Le 13 colonie erano diverse tra loro per origine etnica, religione e tipo di economia. Si possono distinguere tre gruppi principali:
- Le colonie del New England (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), fondate da puritani inglesi che fuggivano dalle persecuzioni religiose. Queste colonie avevano un’economia basata sull’agricoltura di sussistenza, sulla pesca e sul commercio marittimo. Avevano una società egualitaria e democratica, con un forte senso civico e religioso.
- Le colonie centrali (New York, Pennsylvania, New Jersey e Delaware), fondate da olandesi, svedesi e inglesi di varie confessioni religiose. Queste colonie avevano un’economia diversificata, basata sull’agricoltura (grano, mais, tabacco), sull’allevamento, sull’industria (ferro, vetro, carta) e sul commercio. Avevano una società multiculturale e tollerante, con una certa autonomia politica.
- Le colonie meridionali (Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia), fondate da aristocratici inglesi che cercavano grandi appezzamenti di terra. Queste colonie avevano un’economia basata sulla piantagione di cotone, riso e indaco, che richiedeva il lavoro degli schiavi africani. Avevano una società gerarchica e aristocratica, con una forte influenza della Chiesa anglicana.
Le 13 colonie godevano di un’ampia autonomia politica ed erano governate da assemblee locali elette dai coloni. Tuttavia, erano soggette al controllo economico della Gran Bretagna, che applicava una politica mercantilista: le colonie dovevano fornire materie prime alla madrepatria e acquistare i suoi prodotti manifatturieri, pagando dazi doganali elevati. Inoltre, dovevano rispettare le leggi navali che limitavano il loro commercio con altri paesi.
Questo sistema provocò il malcontento dei coloni americani, che si sentivano oppressi e sfruttati dalla Gran Bretagna senza avere voce in capitolo nel Parlamento inglese. Il conflitto tra le due parti si acuì dopo la guerra franco-indiana (1754-1763), in cui le 13 colonie combatterono a fianco della Gran Bretagna contro la Francia e i suoi alleati indiani per il controllo del territorio nordamericano. La Gran Bretagna impose ai coloni nuove tasse per ripagare i debiti di guerra e limitò la loro espansione verso ovest con il Proclama reale del 1763. I coloni protestarono contro queste misure con slogan come “No taxation without representation” (Niente tasse senza rappresentanza) e organizzarono boicottaggi, manifestazioni e atti di resistenza, come la famosa Boston Tea Party del 1773.
La situazione degenerò in una guerra aperta nel 1775, quando le truppe britanniche cercarono di reprimere le milizie coloniali a Lexington e Concord. Il 4 luglio 1776, le 13 colonie approvarono la Dichiarazione d’indipendenza, redatta da Thomas Jefferson, in cui proclamavano di essere uno stato libero e sovrano, gli Stati Uniti d’America. La guerra d’indipendenza americana durò fino al 1783, quando la Gran Bretagna riconobbe la sconfitta con il Trattato di Parigi. Le 13 colonie si dotarono di una Costituzione federale nel 1787, che stabiliva un sistema di governo repubblicano e democratico, basato sulla separazione dei poteri e sulla tutela dei diritti individuali.
La schiavitù nella Dichiarazione d’indipendenza
La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America è il documento che ha segnato la nascita e l’indipendenza di tredici colonie britanniche dalla madrepatria il 4 luglio 1776. Il documento, scritto principalmente da Thomas Jefferson, contiene i principi fondamentali della democrazia americana, basati sull’uguaglianza e i diritti naturali degli individui.
Tuttavia, la Dichiarazione d’indipendenza presenta anche una grave contraddizione: la questione della schiavitù. Infatti, mentre il documento proclama che “tutti gli uomini sono creati uguali” e che hanno diritto alla “vita, alla libertà e alla ricerca della felicità”, esso ignora la condizione di milioni di persone di colore ridotte in schiavitù nelle colonie stesse. Come si spiega questa incongruenza?
Ci sono diverse possibili risposte a questa domanda, che riguardano sia il contesto storico che le motivazioni politiche dei Padri fondatori. Innanzitutto, bisogna ricordare che la schiavitù era una realtà consolidata e diffusa in tutte le colonie americane fin dal XVII secolo. La schiavitù era basata sull’importazione di africani deportati con la forza e sottoposti a un regime di lavoro forzato nelle piantagioni di tabacco, cotone, zucchero e altri prodotti agricoli. La schiavitù era anche una fonte di ricchezza e potere per molti proprietari terrieri e mercanti, che ne difendevano strenuamente il diritto.
In secondo luogo, bisogna considerare che la Dichiarazione d’indipendenza era un documento politico, destinato a giustificare la ribellione delle colonie contro il governo britannico e a ottenere il sostegno di altre nazioni europee, in particolare la Francia. Per questo motivo, i Padri fondatori decisero di enfatizzare i principi universali dei diritti umani e di denunciare le ingiustizie e le oppressioni subite dai coloni da parte della Corona inglese. Tuttavia, essi evitarono di affrontare il tema della schiavitù, per non compromettere l’unità delle colonie e per non alienarsi le simpatie dei potenziali alleati.
Infine, bisogna riconoscere che la Dichiarazione d’indipendenza rifletteva anche le opinioni personali dei suoi autori e firmatari, che erano uomini del loro tempo e della loro classe sociale. Molti di loro erano essi stessi proprietari di schiavi o beneficiari del commercio triangolare. Alcuni erano contrari alla schiavitù per motivi morali o religiosi, ma non erano disposti a mettere in discussione il loro status quo economico o sociale. Altri erano favorevoli alla schiavitù per motivi razziali o ideologici, convinti della superiorità della razza bianca o del diritto naturale alla proprietà privata.
In conclusione, la Dichiarazione d’indipendenza è un documento fondamentale nella storia degli Stati Uniti e della democrazia moderna, ma è anche un documento ambiguo e contraddittorio riguardo alla questione della schiavitù. La schiavitù rimase una piaga sociale e una fonte di conflitto per quasi un secolo dopo l’indipendenza americana, fino alla guerra civile e all’emancipazione degli schiavi nel 1865. Anche dopo la fine della schiavitù legale, la discriminazione e il razzismo contro i neri continuarono a essere una realtà negli Stati Uniti, come dimostrano le lotte per i diritti civili e il movimento Black Lives Matter.